Fu commissionata il 15 aprile del 1285 dalla Compagnia dei Laudesi per la loro cappella nella Chiesa di S. Maria Novella a Firenze la grande Madonna col Bambino in trono, oggi conservata alla Galleria degli Uffizi e nel 1591 spostata nella vicina Cappella Rucellai, da cui prese il nome di “Madonna Rucellai” . Per lungo tempo, fino alla fine dell’Ottocento e per una serie di equivoci venne erroneamente attribuita a Cimabue, alla cui Maestà del Louvre, Duccio da Boninsegna si ispirò per la sua realizzazione.
Quest’ultima, datata 1280, si trovava nella Chiesa di San Francesco a Pisa e venne trasportato a Parigi nel 1821, durante l’occupazione napoleonica da Jean Baptiste Henraux, su interessamento del direttore del Museo Napoleone, desideroso di implementare una sezione di pittura primitiva italiana e dal 1814 venne sposta al Louvre, dopo le restituzioni la grande tavola, 276X424 cm. di dimensioni, rimase in Francia, insieme ad altri dipinti in quanto difficile da trasportare. Innegabile la grande somiglianza tra i due dipinti, la disposizione del trono a tre quarti, lo stesso numero degli angeli, la leggera inclinazione dei volti, lo stesso atteggiamento dei personaggi, medesima anche la cornice d’oro e dipinta con clipei di busti di personaggi sacri.
Nonostante l’impianto formale della composizione ricalchi quello del suo precursore, Duccio inizia ad allontanarsi per innovare nuove soluzioni stilistiche e inedite modulazioni di colore, come nella veste della vergine e nelle tuniche degli angeli, mentre gli schemi della tradizione bizantina sono arricchiti da echi gotici che faranno di Duccio il capostipite della scuola pittorica senese. I contorni delle figure si fanno più dolci e più armoniosa è la gestualità degli angeli che sorreggono il trono decorato da preziosi intarsi di bifore e trifore gotiche. Ricca e varia la gamma cromatica che già era in uso nella scuola senese, rosa, rosso blu chiaro, tonalità che riferiscono a smalti e miniature di splendida fattura. L’orlo dorato che definisce il manto blu in cui è avvolta la Madonna costruisce una linea complessa che da movimento alla figura e alla composizione sottolineando la sua centralità.
L’opera fa parte delle quaranta selezionate per L’Oro di Dio, capolavori della pittura primitiva italiana tra Medioevo e Rinascimento, da Cimabue a Piero della Francesca, edito da Vallecchi, con introduzione del prof. Franco Cardini.